sabato 19 marzo 2022

Richard Henkes sacerdote cattolico martire del nazismo




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Richard Henkes nacque a Ruppach, nei pressi di Limburgo in Germania, il 26 maggio 1900. Dopo aver conosciuto i padri della Società dell’Apostolato Cattolico, ossia i Pallottini, entrò nel loro studentato di Schoenstatt-Vallendar, per diventare sacerdote e missionario. Nel 1925 fu ordinato sacerdote e l’anno dopo divenne insegnante nello stesso studentato di Vallendar. Dal 1931 operò a Katscher, Frankenstein e Branitz, tra Germania e Cecoslovacchia. Nelle sue omelie cominciò a segnalare i pericoli del nazismo, per cui fu denunciato alla Gestapo, ma ebbe solo un avvertimento. Nel 1937 fu nuovamente accusato per insulti ad Adolf Hitler, ma scampò alla condanna per via dell’amnistia dovuta all’annessione dell’Austria alla Germania hitleriana. L’8 aprile 1943 fu arrestato a Brainitz con l’accusa di “abuso del pulpito”. Il 10 luglio dello stesso anno venne condotto nel campo di concentramento di Dachau, dove esercitò clandestinamente il ministero e rimase saldo nella fede. Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 1944 si offrì volontario per entrare nella baracca 17, riservata agli ammalati di tifo, per curarli e assisterli spiritualmente. Lui stesso contrasse la malattia, morendo il 22 febbraio 1945. È stato beatificato il 15 settembre 2019 nella cattedrale di San Giorgio a Limburgo, sotto il pontificato di papa Francesco. La sua memoria liturgica, nel calendario liturgico proprio della Società dell’Apostolato Cattolico, è stata fissata al 21 febbraio, giorno precedente quello della sua nascita al Cielo. Poiché il suo corpo fu cremato separatamente, le sue ceneri sono state preservate. Dopo la ricognizione canonica, avvenuta il 30 aprile 2019, sono passate sotto la custodia del vescovo di Limburgo.


L’arresto
L’8 aprile 1943, don Richard fu arrestato dalla Gestapo di Ratibor, con l’accusa di “abuso del pulpito”. Incarcerato a Ratibor, scrisse in segreto a una collaboratrice della parrocchia di Strandorf: «Fino ad oggi sono in isolamento che affligge tanto i nervi, ma sono mentalmente e fisicamente sano. Tranne due volte a settimana posso ogni giorno ricevere la Santissima Comunione e questo è un grande conforto per me […] All’inizio ho ancora pregato per la mia libertà ma poi ho lottato con me stesso e se dovessi anche andare nel campo di concentramento direi lo stesso “Deo gratias” come l’ho detto quando sono stato arrestato. Infine, devo davvero mettere in pratica ciò che ho predicato agli altri nei ritiri. Fino ad oggi il Signore mi ha ovviamente protetto, quindi non ho paura del futuro. Dio mi darà sicuramente la sua grazia […] Infatti, nel tempo che stiamo vivendo oggi, noi sacerdoti dobbiamo seguire il Salvatore nel Getsemani e forse anche sul Golgota».
In un’altra missiva, datata 1° luglio 1943, si rivolse a sua madre: «Fino ad ora ho percorso il cammino del Rosario Gaudioso. Se finora stavo sul pulpito o nella sala conferenze, si trattava sempre di un’attività sacerdotale piena di gioia. E se adesso voi, cara mamma, davanti al crocifisso pregate spesso il Rosario Doloroso, dovete pensare che faccio questo cammino insieme al Redentore, e questa non è una vergogna per un sacerdote. Se vivrò il Rosario Glorioso ancora qui in terra o già in cielo è una cosa che lascio decidere al buon Dio. Vi ringrazio molto per tutto il vostro amore. Non vi dimenticherò mai e ci ritroveremo sempre nella preghiera. [...] In nome di Dio e cordiali saluti. Il vostro grato figlio Richard».


A Dachau
Ormai, però, don Richard era in viaggio verso il campo di concentramento di Dachau. Arrivò il 10 luglio 1943: fu registrato col numero 49642. A Dachau erano stati raggruppati, a partire dal 1941, tutti i sacerdoti europei arrestati dalla Gestapo, provenienti dagli altri campi. Le baracche loro destinate erano le numero 26, 28 e 30.
Come gli altri detenuti, fu obbligato ai lavori forzati, inizialmente nella piantagione delle SS. In seguito lavorò nell’ufficio postale, quindi al comando disinfezione e, dalla seconda metà del 1944, come custode della mensa all’ingresso nel blocco 17. I parrocchiani di Strandorf, probabilmente coordinati dalla sua domestica, Paula Miketta, poterono almeno per qualche tempo mandargli dei pacchi di viveri, che lui condivideva.

Sacerdote anche nel campo di concentramento
Nello stesso campo erano prigionieri altri sacerdoti e un seminarista che, come don Richard, vivevano la spiritualità del Movimento di Schoenstatt fondato da don Josef Kentenich, il suo padre spirituale allo studentato (per il quale è in corso la causa di beatificazione). Erano don Alois Andritzki (beatificato 13 giugno 2001), don Gerhard Hirschfelder (beatificato il 19 settembre 2010) e il diacono Karl Leisner (beatificato il 23 giugno 1996). Quest’ultimo fu poi ordinato sacerdote clandestinamente, all’interno del campo.
Conobbe anche un sacerdote cecoslovacco, Josef Beran, che successivamente divenne arcivescovo di Praga e cardinale (anche per lui la causa di beatificazione è in corso). Con la speranza di tornare in Slesia, riprese a studiare con lui la lingua ceca, che aveva già cominciato ad apprendere. I sacerdoti non dovevano esercitare il ministero apertamente, ma lui e tanti altri continuavano a portare i Sacramenti a chi ne avesse bisogno.

La morte
Proprio per non lasciare sprovvisti di assistenza spirituale i prigionieri malati di tifo petecchiale, nel novembre 1944 don Richard si offrì volontario per andare alla baracca 17, dov’erano rinchiusi alcuni cecoslovacchi. Si dedicò a curarli anche dal punto di vista infermieristico, finché lui stesso, dopo circa dieci settimane, non contrasse la malattia. Morì il 22 febbraio 1945.
Uno dei sacerdoti prigionieri riuscì a ottenere che il suo corpo venisse bruciato nel forno crematorio separatamente dagli altri cadaveri. Fece quindi in modo che le sue ceneri venissero conservate. Il 7 giugno 1945, a guerra finita, l’urna che le conteneva venne tumulata nel cimitero pallottino di Limburgo. Nel 1990 è stata traslata in un’altra tomba nel medesimo cimitero.





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