ringraziando sempre il caro fratello utente di facebook Santi italogreci
+Ιl 28 di questo mese, memoria della nostra Santa madre Teodora di Rossano.
+ Τη ΚΗ' του αυτού μηνός, μνήμη της Οσίας μητρός ημών Θεοδώρας της εκ Ρυσιάνου της Καλαβρίας.
Ricostruire le notizie sulla vita e sull’opera di Teodora non è cosa facile. Le poche informazioni, dirette e di prima mano, le possiamo ricavare da una fonte letteraria importantissima, la biografia o “Bìos”di San Nilo, scritta, tra il 1035 e il 1045 nella Badia di Grottaferrata.
Teodora nasce intorno alla fine del secolo IX (poco più di uno o due decenni prima del 910, anno di nascita di Nilo), “da nobili e onesti ma non troppo agiati genitori Eusebio e Rosalia”,a Rossano, dove trascorre tutta la sua vita, fino al “28 novembre 980”, anno della sua morte. Sappiamo che, inizialmente, è, in qualità di monaca, consigliera e guida materna di Nilo, infatti, il “Bìos” ci informa che: ella “amava il santo Padre Nilo, sin da quand’era giovanetto, quasi un proprio figliuolo”.Ma, quando Nilo si fa monaco e acquista fama di saggezza e santità, accetta, con umiltà, di diventare discepola del suo discepolo.
Il “Bìos” ci informa di uno scambio di “lettere” tra Nilo e Teodora su una questione umana rilevante. Nel 945 circa, un umile e povero contadino, il ventenne Stefano, anch’egli rossanese, perso il padre, decide di monacarsi e di seguire Nilo, lascia, perciò, il suo lavoro, ma lascia anche la mamma e la sorella senza sostentamento e protezione. Nilo, che allora si trova nella zona ascetica del Mercurione conduce un’ascesi solitaria, anacoretica ed eremitica, nella grotta di S. Michele, lo accoglie come suo discepolo e, nello stesso tempo, “crede giusto di prendersi sollecitudine” della mamma e della sorella di Stefano. Perciò, mosso dalla carità e dalla misericordia, Nilo indirizza alcune “sue lettere”, le più antiche di cui ci dà notizia il “Bìos”, ma a noi non pervenute, alla “MadreTeodora”, allora Badessa Superiora del Monastero montano dell’Arenario, detto anche di Sant’Opoli, con le quali le fa richiesta di accogliere e ospitare le due familiari di Stefano, bisognose di un ricovero e di aiuto spirituale e materiale. La richiesta di affidamento della mamma e della sorella di Stefano viene favorevolmente accolta daTeodora, che dà loro ospitalità nel Monastero da lei diretto, uno dei numerosi Monasteri della famosa Montagna Santa (àghion òros) di Rossano; e lì le due donne, che ricevono spesso le visite di Stefano “nel tempo delle mietiture”, vivono alcuni anni serenamente e “in pace” fino alla conclusione della loro esistenza terrena. I passi del “Bìos” ci fanno intendere, abbastanza chiaramente, che Nilo è il fondatore di quel Monastero, che si trovava sulla montagna di Rossano e aveva due reparti, uno per monaci e l’altro per monache. Quest’ultimo egli affida a Theodora, che ne è la Badessa o Superiora. Detto Monastero era ubicato al “Varco del Rinacchio” o nella contrada di “Ceradonna” (termine che unisce due parole: la prima greca “kùria” e la seconda “domina”, aventi lo stesso significato di “la Signora”, ossia Teodora) oppure nella zona della “Vadda era Patissa” (ossia “la Valle della Badessa”,Teodora).
Alcuni anni dopo, intorno al 970, Nilo, convince Theodora e le sue monache ad abbandonare il Monastero per due buoni motivi: perché esso è in montagna, lontano dal consorzio umano, dove il clima per alcuni mesi all’anno è particolarmente rigido e l’ambiente è difficile, e soprattutto perché è esposto alle frequenti devastanti incursioni dei Saraceni islamici (che lo saccheggeranno e lo distruggeranno). Nilo le fa trasferire a Rossano, nella Grecìa, nel quartiere più antico della città, precisamente nel Monastero femminile e annesso Oratorio di Santa Anastasìa.
I due immobili furono “edificati a sue spese”, intorno alla metà del X secolo, da“Eufràsio o Euprassio, creato dai Basileis di Bisanzio Giudice d’Italia e di Calabria”, che allora “dimorava a Bisanzio”. L’Oratorio (che probabilmente ingloba una precedente costruzione ed era utilizzato dai monaci delle sottostanti Laure per la loro ascesi comunitaria) e il Monastero sono destinati a “un Ascetario di sacre vergini” e affidati alla “direzione di un monaco di nome Antonio”. Questi, però, in pochi anni, riduce l’Oratorio e il Monastero in “precarie e disastrose condizioni per l’incuria di lui”. Prossimo alla morte, “si rivolge” a Nilo, “lo costituisce procuratore di tutti i suoi beni” e lo incarica di risanare e riqualificare quegli immobili. E Nilo, poco dopo il terremoto che si abbatte sulla città (970), lascia il suo Monastero di S. Adriano (nell’attuale S. Demetrio Corone) e fa ritorno nella sua città natale per rifondare e “ricostituire” sia l’Oratorioe sia l’attiguo Monastero; entrambi li “intitola” a S. Maria Anastasìa,li destina a “tutte le vergini disperse”, della città e del territorio,e alle vedove di Rossano nonchè alle monache del Monastero dell’Arenario, trasferitesi nella città, e li affida alla direzione di “una Superiora”, la sua allieva la Badessa Teodora, che in quel Monastero trascorre il resto della sua vita e dove viene “seppellita” .
Ignoriamo, a causa di inesistenza di fonti narrative e documentarie, qual è la vicenda storica dei due manufatti bizantini. Verosimilmente, all’indomani della latinizzazione della Chiesa e della Diocesi di Rossano (1459-1462), l’antico Oratoriodi S. Anastasìa cambia il suo nome in San Marco, viene ingrandito con un corpo di fabbrica aggiunto e diventa una Chiesa aperta al pubblico fino ad anni recenti; invece, il Monasterodi S. Anastasìa viene privatizzato e trasformato in una civile abitazione, ora di proprietà Nola.
Il biografo di Nilo, con poche ma efficaci pennellate,ci lascia un profilo forte di Theodora, “tale di nome e di fatto” (il termine greco significa infatti “dono di Dio” o “colma di doti divine”), “una vergine molto veneranda”, “vegliarda santa e molto prudente e saggia”, una donna forte che fa una scelta di fede radicale e anticonformista di “un genere di vita ascetico assai rigido”. Ella si caratterizza come testimonianza di religiosità autorevole e credibile, “non so se Rossano ne abbia generata un’altra simile a lei”.
Teodora nasce intorno alla fine del secolo IX (poco più di uno o due decenni prima del 910, anno di nascita di Nilo), “da nobili e onesti ma non troppo agiati genitori Eusebio e Rosalia”,a Rossano, dove trascorre tutta la sua vita, fino al “28 novembre 980”, anno della sua morte. Sappiamo che, inizialmente, è, in qualità di monaca, consigliera e guida materna di Nilo, infatti, il “Bìos” ci informa che: ella “amava il santo Padre Nilo, sin da quand’era giovanetto, quasi un proprio figliuolo”.Ma, quando Nilo si fa monaco e acquista fama di saggezza e santità, accetta, con umiltà, di diventare discepola del suo discepolo.
Il “Bìos” ci informa di uno scambio di “lettere” tra Nilo e Teodora su una questione umana rilevante. Nel 945 circa, un umile e povero contadino, il ventenne Stefano, anch’egli rossanese, perso il padre, decide di monacarsi e di seguire Nilo, lascia, perciò, il suo lavoro, ma lascia anche la mamma e la sorella senza sostentamento e protezione. Nilo, che allora si trova nella zona ascetica del Mercurione conduce un’ascesi solitaria, anacoretica ed eremitica, nella grotta di S. Michele, lo accoglie come suo discepolo e, nello stesso tempo, “crede giusto di prendersi sollecitudine” della mamma e della sorella di Stefano. Perciò, mosso dalla carità e dalla misericordia, Nilo indirizza alcune “sue lettere”, le più antiche di cui ci dà notizia il “Bìos”, ma a noi non pervenute, alla “MadreTeodora”, allora Badessa Superiora del Monastero montano dell’Arenario, detto anche di Sant’Opoli, con le quali le fa richiesta di accogliere e ospitare le due familiari di Stefano, bisognose di un ricovero e di aiuto spirituale e materiale. La richiesta di affidamento della mamma e della sorella di Stefano viene favorevolmente accolta daTeodora, che dà loro ospitalità nel Monastero da lei diretto, uno dei numerosi Monasteri della famosa Montagna Santa (àghion òros) di Rossano; e lì le due donne, che ricevono spesso le visite di Stefano “nel tempo delle mietiture”, vivono alcuni anni serenamente e “in pace” fino alla conclusione della loro esistenza terrena. I passi del “Bìos” ci fanno intendere, abbastanza chiaramente, che Nilo è il fondatore di quel Monastero, che si trovava sulla montagna di Rossano e aveva due reparti, uno per monaci e l’altro per monache. Quest’ultimo egli affida a Theodora, che ne è la Badessa o Superiora. Detto Monastero era ubicato al “Varco del Rinacchio” o nella contrada di “Ceradonna” (termine che unisce due parole: la prima greca “kùria” e la seconda “domina”, aventi lo stesso significato di “la Signora”, ossia Teodora) oppure nella zona della “Vadda era Patissa” (ossia “la Valle della Badessa”,Teodora).
Alcuni anni dopo, intorno al 970, Nilo, convince Theodora e le sue monache ad abbandonare il Monastero per due buoni motivi: perché esso è in montagna, lontano dal consorzio umano, dove il clima per alcuni mesi all’anno è particolarmente rigido e l’ambiente è difficile, e soprattutto perché è esposto alle frequenti devastanti incursioni dei Saraceni islamici (che lo saccheggeranno e lo distruggeranno). Nilo le fa trasferire a Rossano, nella Grecìa, nel quartiere più antico della città, precisamente nel Monastero femminile e annesso Oratorio di Santa Anastasìa.
I due immobili furono “edificati a sue spese”, intorno alla metà del X secolo, da“Eufràsio o Euprassio, creato dai Basileis di Bisanzio Giudice d’Italia e di Calabria”, che allora “dimorava a Bisanzio”. L’Oratorio (che probabilmente ingloba una precedente costruzione ed era utilizzato dai monaci delle sottostanti Laure per la loro ascesi comunitaria) e il Monastero sono destinati a “un Ascetario di sacre vergini” e affidati alla “direzione di un monaco di nome Antonio”. Questi, però, in pochi anni, riduce l’Oratorio e il Monastero in “precarie e disastrose condizioni per l’incuria di lui”. Prossimo alla morte, “si rivolge” a Nilo, “lo costituisce procuratore di tutti i suoi beni” e lo incarica di risanare e riqualificare quegli immobili. E Nilo, poco dopo il terremoto che si abbatte sulla città (970), lascia il suo Monastero di S. Adriano (nell’attuale S. Demetrio Corone) e fa ritorno nella sua città natale per rifondare e “ricostituire” sia l’Oratorioe sia l’attiguo Monastero; entrambi li “intitola” a S. Maria Anastasìa,li destina a “tutte le vergini disperse”, della città e del territorio,e alle vedove di Rossano nonchè alle monache del Monastero dell’Arenario, trasferitesi nella città, e li affida alla direzione di “una Superiora”, la sua allieva la Badessa Teodora, che in quel Monastero trascorre il resto della sua vita e dove viene “seppellita” .
Ignoriamo, a causa di inesistenza di fonti narrative e documentarie, qual è la vicenda storica dei due manufatti bizantini. Verosimilmente, all’indomani della latinizzazione della Chiesa e della Diocesi di Rossano (1459-1462), l’antico Oratoriodi S. Anastasìa cambia il suo nome in San Marco, viene ingrandito con un corpo di fabbrica aggiunto e diventa una Chiesa aperta al pubblico fino ad anni recenti; invece, il Monasterodi S. Anastasìa viene privatizzato e trasformato in una civile abitazione, ora di proprietà Nola.
Il biografo di Nilo, con poche ma efficaci pennellate,ci lascia un profilo forte di Theodora, “tale di nome e di fatto” (il termine greco significa infatti “dono di Dio” o “colma di doti divine”), “una vergine molto veneranda”, “vegliarda santa e molto prudente e saggia”, una donna forte che fa una scelta di fede radicale e anticonformista di “un genere di vita ascetico assai rigido”. Ella si caratterizza come testimonianza di religiosità autorevole e credibile, “non so se Rossano ne abbia generata un’altra simile a lei”.
(di FRANCESCO FILARETO)
+ Il 28 di questo mese, memoria del nostro santo padre e Confessore Stefano il Giovane, patrono di Salice a Messina.
Santo Stefano il Giovane, nato a Costantinopoli tra l'agosto e il dicembre del 715 e morto nello stesso luogo il 28 Novembre 768, è conosciuto anche come il martire dell'iconoclastia. A Salice il suo culto si diffuse in seguito alla costruzione di un monastero Italogreco di cui oggi si sono perse le tracce, ma di cui è provata l'esistenza in un manoscritto del 1342. Con il tempo il nome di S. Stefano il Giovane si è confuso con quello di un monaco che, secondo la tradizione, visse in questo monastero e fu lapidato e sepolto a Salice. Questa figura è avvolta dal mistero in quanto non esistono fonti o documenti che comprovano la sua esistenza. I due Santi, quindi, vengono ad assimilarsi, nonostante per gli abitanti sia chiaro il fatto che S. Stefano il Giovane non venne mai a Salice e che si parla di due figure distinte che poi, di fatto, durante le celebrazioni diventano un tutt'uno. Il giorno in cui la Chiesa celebra ufficialmente S. Stefano il Giovane è il 28 novembre, il giorno della sua morte. A Salice la ricorrenza cade, invece il 29 ottobre, giorno in cui si fa risalire la morte di S. Stefano di Salice.
Le prime fonti storiche di Salice ci riportano al 1134, quando Ruggero II donò alcuni feudi, tra cui il territorio di Salìce, al Monastero del San Salvatore di Messina. Anche Salìce, come altri paesi circostanti, fu sede dei monaci greci (prima del 2005, Salìce, insieme a Gesso, Orto Liuzzo e Rodia era compreso nel XIII quartiere o circoscrizione, detto "dei basiliani"). Si pensa che un tempo, situato in contrada Badia, vi si trovava un monastero dedicato a Santo Stefano Juniore, che dipendeva direttamente dall'Archimandritato del Santissimo Salvatore dei Greci. Una vasta area di terreno, nella zona nord di Messina, fu affidata nel 1134 da Ruggero II (primo regnante dell'isola) ai monaci greci. All'Archimandrita Luca fu affidato il territorio di Salice con disposizione di creare un villaggio con dei servitori per il monastero.
Santo Stefano il Giovane, nato a Costantinopoli tra l'agosto e il dicembre del 715 e morto nello stesso luogo il 28 Novembre 768, è conosciuto anche come il martire dell'iconoclastia. A Salice il suo culto si diffuse in seguito alla costruzione di un monastero Italogreco di cui oggi si sono perse le tracce, ma di cui è provata l'esistenza in un manoscritto del 1342. Con il tempo il nome di S. Stefano il Giovane si è confuso con quello di un monaco che, secondo la tradizione, visse in questo monastero e fu lapidato e sepolto a Salice. Questa figura è avvolta dal mistero in quanto non esistono fonti o documenti che comprovano la sua esistenza. I due Santi, quindi, vengono ad assimilarsi, nonostante per gli abitanti sia chiaro il fatto che S. Stefano il Giovane non venne mai a Salice e che si parla di due figure distinte che poi, di fatto, durante le celebrazioni diventano un tutt'uno. Il giorno in cui la Chiesa celebra ufficialmente S. Stefano il Giovane è il 28 novembre, il giorno della sua morte. A Salice la ricorrenza cade, invece il 29 ottobre, giorno in cui si fa risalire la morte di S. Stefano di Salice.
Le prime fonti storiche di Salice ci riportano al 1134, quando Ruggero II donò alcuni feudi, tra cui il territorio di Salìce, al Monastero del San Salvatore di Messina. Anche Salìce, come altri paesi circostanti, fu sede dei monaci greci (prima del 2005, Salìce, insieme a Gesso, Orto Liuzzo e Rodia era compreso nel XIII quartiere o circoscrizione, detto "dei basiliani"). Si pensa che un tempo, situato in contrada Badia, vi si trovava un monastero dedicato a Santo Stefano Juniore, che dipendeva direttamente dall'Archimandritato del Santissimo Salvatore dei Greci. Una vasta area di terreno, nella zona nord di Messina, fu affidata nel 1134 da Ruggero II (primo regnante dell'isola) ai monaci greci. All'Archimandrita Luca fu affidato il territorio di Salice con disposizione di creare un villaggio con dei servitori per il monastero.
Santo Laberio/Laverius martire a Grumento in Basilicata 27 Novembre
Cominciò a predicare nella sua cittadina facendo conoscere il vangelo di Gesù nella sua famiglia e ai suoi amici. Da Teggiano, Laviero passò a Acerenza dove incontrò il prefetto pagano di quel tempo: Agrippa. Secondo la tradizione Agrippa arrestò Laviero e gli diede ordine di immolare agli dei pagani. Essendosi Laviero rifiutato, venne torturato per una notte intera con l'aculeo e il cavalletto di tortura rimasto appeso nella piazza di Acerenza. Ma lui non si scoraggiò e continuò a predicare l'amore verso Dio e a far conoscere il vangelo di Gesù. Agrippa, venuto a sapere di Laviero che continuava con la sua professione di fede, lo fece condurre nell'anfiteatro per essere sbranato dalle belve. Le belve invece di azzannarlo si inginocchiarono vicino a Laviero e tutto il popolo osannò Dio nei suoi angeli e in Laviero, amico del Signore. Venne quindi chiuso in una cella sotto rigorosa custodia, ma un angelo mandato da Dio gli avrebbe aperto le porte della cella senza che nessuno se ne accorgesse e gli ordinò di recarsi nella cittadina di Grumentum
Laviero così fece e arrivò a Grumentum il 15 agosto del 312 Anche qui Laviero cominciò a predicare e a battezzare sotto il nome e la fede di Gesù. Agrippa, venuto a sapere della fuga di Laviero, mise 300 soldati alla sua ricerca con l'ordine di decapitarlo. Ci fu un traditore che rivelò il nascondiglio e Laviero fu catturato. Venne più volte flagellato e, siccome continuava a parlare di Gesù, venne condotto fuori la città alla confluenza dei fiumi Agri e Sciaura e gli venne tagliata la testa con la spada. La sua anima fu vista volare al cielo per ricevere la corona della gloria e la palma del martirio I soldati di Agrippa fecero ritorno a Acerenza spaventati e impauriti.
Il corpo di Laviero venne seppellito sul luogo del martirio a cura di una matrona romana con grande solennità e devozione ed ivi gli fu eretta una chiesa, distrutta dai Saraceni (827-82).
Nella traduzione latina della Vita greca di san Luca, abate di Armento (Lucania, si narra che questi, morto nel 993, avrebbe fabbricato a Grumento sulle rovine di una chiesa dedicata a Laverio, un'altra chiesa di proporzioni più modeste..
Laverio è venerato a Grumento Nova (Potenza), distante circa due chilometri dall'antica Grumento, dove è patrono principale; così pure ad Acerenza, dove è tenuto come patrono secondario. Il culto si ritrova pure a Venosa e a Tricarico, mentre sono perdute le tracce delle reliquie.
Infatti Le spoglie mortali, venerate come reliquie, sono state disperse a causa delle invasioni barbariche prima e saracene poi. Una parte importante dei resti andò perduta nel corso della distruzione della città di Satriano ordinata da Giovanna II d'Angiò (nel 1424 o nel 1430 ). Alcuni abitanti satrianesi scampati alla distruzione riparono a Tito, portando con sé anche un osso del braccio del Santo, unica reliquia rimasta. I titesi accolsero i profughi ed anche il Santo, al punto da farlo patrono della propria città. Dal 1465 circa la cittadina di Tito venera come suo patrono e protettore. Dopo pochi anni iniziò la costruzione della nuova chiesa madre del paese che sarà intitolata a San Laviero martire della Lucania.
Successivamente anche l'ultimo resto fu profanato e trafugato: il braccio di san Laverio venne rubato dalla chiesa madre di Tito nel dicembre del 1968 e ad oggi non esiste più nessun resto di san Laverio.
consultare anche https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2705237162906443&id=100002605583903
+ Il 27 di questo mese, memoria del santo padre Nicola, terzo egumeno del Monastero di San Nicola di Casole, vicino Otranto nel Salento.
+ Tη ΚΖ' του αυτού μηνός, μνήμη του Οσίου πατρός ημών Νικολάου, τρίτου Ηγουμένου της Μονής του Αγίου Νικολάου των Κασούλων εν Υδρούντι.
+ Tη ΚΖ' του αυτού μηνός, μνήμη του Οσίου πατρός ημών Νικολάου, τρίτου Ηγουμένου της Μονής του Αγίου Νικολάου των Κασούλων εν Υδρούντι.
L'egumeno Nicola, ricordato per aver dato lustro al Monastero grazie al suo Scriptorium, si spense nel 1174, lasciando il celebre "Typicon del Monastero di san Nicola di Casole" da lui redatto. Dell’antico Monastero di Casole, importante centro di cultura e di fede cristiana e punto di passaggio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, resta solo un cumulo di pietre poste su un terreno praticamente abbandonato e quasi inavvicinabile, ovviamente privo di qualsiasi segnalazione.
+ Il 24 di Novembre, memoria del nostro santo padre Giorgio di Rossano, figlio spirituale di san
Nilo.
Santo Ermogene vescovo di Agrigento ultimo vescovo della città prima della conquista araba-24 Novembre
Nell’antico calendario della Chiesa Agrigentina è menzionato come santo al 24 novembre. Il Lancia di Brolo così ne parla: "Metto tra i martiri di incerta data anche S. Ermogene, vescovo di Girgenti, che la Chiesa greca onora al 24 novembre: veramente i Menei (monologi greci) dicono espressamente che “egli finì in pace i suoi giorni...”.
S. Ermogene fu uno di quei santi martiri dell'ultima persecuzione che, sopravvissuti ai patimenti, finirono la vita in pace ai tempi di Costantino. il Lancia di Brolo, in greco, riportano il distico che nei Menei greci è dedicato a S. Ermogene la cui versione latina a cura del P Gaetani così recita
Caedens, Hermogenes, ex genere mortalium
pudore fastum generis imples daemonum.
Il Russo lo ritiene "oscurissimo distico" e dice che Ermogene fu l’undicesimo vescovo di Agrigento e divenne tale per le sue virtù cristiane nell’800; dopo averla governata ed illustrata con zelo e dottrina, morì il 24 novembre dell’824. il suddetto distico si potrebbe tradurre: ''Allontanandoti, Ermogene, dal genere umano, colmi di vergogna l'arroganza del genere dei demoni".
O qui ci si riferisce al coraggio del santo che, morendo martire, vince il persecutore , o alla saggezza del confessore della fede che sconfigge la superbia dei demoni.
Caedens, Hermogenes, ex genere mortalium
pudore fastum generis imples daemonum.
Il Russo lo ritiene "oscurissimo distico" e dice che Ermogene fu l’undicesimo vescovo di Agrigento e divenne tale per le sue virtù cristiane nell’800; dopo averla governata ed illustrata con zelo e dottrina, morì il 24 novembre dell’824. il suddetto distico si potrebbe tradurre: ''Allontanandoti, Ermogene, dal genere umano, colmi di vergogna l'arroganza del genere dei demoni".
O qui ci si riferisce al coraggio del santo che, morendo martire, vince il persecutore , o alla saggezza del confessore della fede che sconfigge la superbia dei demoni.
consultare anche https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2699363600160466&set=a.1001927373237439&type=3&theater
+ Il 23 di questo mese, memoria del nostro santo padre Gregorio, vescovo della Chiesa di Agrigento.
+ Τῇ ΚΓ' τοῦ αὐτοῦ μηνός, Μνήμη τοῦ ἐν Ἁγίοις Πατρὸς ἡμῶν Γρηγορίου, Ἐπισκόπου τῆς Ἀκραγαντίνων Ἐκκλησίας.
"Gregorio, padre dei padri, sei divenuto regola del sacerdozio, immagine di temperanza, sostegno dei monaci, fondamento della Chiesa, lampada di carità, trono di percezione spirituale, fonte di prodigi, lingua di fuoco, bocca dal dolce parlare, strumento del divino Spirito e paradiso spirituale, o beato in Dio"
consultare
+Il 21 di Novembre, memoria del nostro santo padre Luca di Mercurion, fratello di san Fantino il Giovane.
+Τη κα' του μηνός Νοεμβρίου, μνήμη του οσίου πατρός ημών Λουκά του εν τω Μερκουρίω της Καλαβρίας, αδελφού του οσίου Φαντίνου του Νέου.
Nato in Calabria (902) san Fantino viene offerto dal padre, a 8 anni, a sant' Elia lo Speleota che, a 16 anni, lo incarica dei vari servizi comuni dopo di averlo rivestito dell’Angelico Abito. Morto sant' Elia, a 20 anni san Fantino si consacra alla vita eremitica, per 18 anni nell’aspra regione monastica, tra Lucania e Calabria e Cilento, del Mercurion, conducendo una vita di estremo disagio fisico. Raggiunto dai pii familiari, li persuade a consacrarsi anche loro: adatta cosí due romitori, uno per la madre e la sorella, uno per il padre e i fratelli: Cosma già discepolo di sant'Elia lo Speleota e san Luca, che Fantino prepone come economo cioè suo vicario per continuare così a rimanere nel ritiro dell’esicasmo. San Luca più tardi seguirà san Nilo nelle sue peregrinazioni nel Cilento e fino a Valleluce (Montecassino) alla cui guida venne posto dallo stesso san Nilo. Spentosi nel 991, fu sepolto nel Nartece della chiesetta monastica dedicata all’arcangelo san Michele
+ Il 22 di questo mese, memoria del nostro santo padre Nicodemo, Igumeno del Monastero italo-greco di San Nicola di Casole (Otranto).
+ Τη ΚΒ' του αυτού μηνός, μνήμη του Οσίου πατρός ημών Νικοδήμου, Ηγουμένου της Μονής του Αγίου Νικολάου των Καζούλων στον Υδρούντα του Σαλέντο.
+ Τη ΚΒ' του αυτού μηνός, μνήμη του Οσίου πατρός ημών Νικοδήμου, Ηγουμένου της Μονής του Αγίου Νικολάου των Καζούλων στον Υδρούντα του Σαλέντο.
Sesto abate del Monastero di Casole, fu Nicodemo (1201-22 Novembre 1220)
"Tra i Padri" scrive Nettario nel tetrastico, "ho conosciuto Nicodemo, uomo che riportò vittoria sul demonio;pieno di virtù,abile parlatore e dedito alla contemplazione,si comportò secondo il suo nome. Guarda a quello che egli ha realizzato".
Nella carta 4 del Typikon,una mano diversa annota:"nel mese di novembre,giorno 22,morte del padre nostro Nicodemo,anno 6728 (1220),indizione VIII".Invece nella carta 29 del medesimo Typikon viene espressamente detto:"...la morte del Santo Padre Nostro Nicodemo".
-Per le sue preghiere Signore Gesù Cristo Dio nostro abbi misericordia di noi e salvaci. Amin.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2692622684167891&set=a.1001927373237439&type=3&theater
+ Il 20 di Novembre, memoria dei santi martiri Ampelio e Caio di Messina.
+Τη κ' του μηνός Νοεμβρίου, μνήμη των αγίων μαρτύρων Αμπελίου και Γαΐου, των εν Μεσσήνη της Σικελίας.(4ος αιώνας)
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