venerdì 3 gennaio 2020

Santi Italo greci mese di Dicembre






Saints ETIENNE, PONTIEN, ATTALE, FABIEN, CORNEILLE, SIXTE, FLORE, QUINTIEN, MINERVIEN et SIMPLICIEN, martyrs à Catane en Sicile.

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Il martyrologium Romanum al 31 dicembre  dice testualmente:Càtanaem
Catànae, in Sicilia, passio sanctòrum Stèphani, Pontiàni, Attali, Fabiàni, Cornèlii, Sexti, Floris, Quinctiàni, Minervini et Simpliciàni..   Senza nessun’altra notizia.

Il Lancia di Brolo, li colloca nel capitolo dei santi martiri di data incerta, e afferma che il cardinale Baronio, li dice catanesi  e che sono sepolti in Catania , nel luogo in cui sorge “ il cenobio delle moniali di San Benedetto



Santo Lorenzo da Frazzanò in territorio messinese Monaco  -30 dicembre 

Tratto dal quotidiano Avvenire
Nacque probabilmente intorno al 1116, nella piccola borgata di Frazzanò. I suoi genitori morirono 
nel giro di un anno, lasciando orfano il figlio. Lorenzo venne così affidato alla giovane nutrice Lucia, una vicina di casa. A sei anni, dopo i primi approcci con la liturgia e le scritture, Lorenzo chiese a Lucia di potere studiare le lettere umane e divine. Fu così indirizzato al monastero  di San Michele Arcangelo a Troina, dove il giovane stupì tutti per le sue doti umane e religiose. Lo stesso vescovo di Troina lo invitò a vestire l'abito monacale  e a ricevere gli ordini minori e maggiori. A soli 20 anni Lorenzo era già sacerdote e la sua fama andava diffondendosi nella regione. Si recò presso il monastero di Agira e qui i fedeli andavano per sentire la parola del santo. Nel 1155 circa Lorenzo entrò nel monastero di San Filippo di Fragalà. In questo periodo, Lorenzo si adoperò per fare edificare a Frainos (Frazzanò) una chiesetta dedicata a San Filadelfio. Nell'autunno del 1162 si conclusero i lavori della nuova chiesa di Tutti i Santi, da lui desiderata «ad honore della Santissima Trinità». Morì il 30 dicembre dello stesso anno.

Martirologio Romano: Presso la cittadina di Frazzanò in Sicilia, san Lorenzo, monaco secondo la disciplina dei Padri orientali, insigne per austerità di vita e instancabile nella predicazione.
 San Lorenzo  sul piano del calendario è successivo allo scisma ma (come ci ha insegnato il venerato nostro confratello Antonio Scordino) in Sicilia,Calabria e tutta la Magna Grecia lo scisma fu realizzato compiutamente diversi anni dopo


+ Il 26 di Dicembre, memoria dei nostri santi padri: Dionisio papa di Roma (+268) che nacque a Terranova di Sibari, e di Zosimo papa di Roma (+418) che nacque a Mesoraca di Crotone.

+ Il 26 di questo mese, memoria del nostro santo padre Stefano di Paternò.

Monaco del Monastero di santa Maria della Scala, "των πατέρων", cioe "dei padri" . Visse al tempo di Guglielmo d’Altavilla. Subì il taglio della mano destra dopo una falsa accusa, e guarito miracolosamente dalla S.Madre di Dio. Il 1363, estintisi i monaci greci, il suo monastero latinizzato passo' ai monaci benedettini dopo ai certosini e agli agostiniani, i quali vi abitarono fino al 1785, quando lo abbandonarono per insediarsi in una nuova chiesa costruita al Cassero Vecchio.
Dell'antico monastero, situato in contrada Giaconia, ed oggi in rovina, rimangono solo alcuni resti di mura in pietra lavica, dei quali si possono notare elementi architettonici in stile tipicamente medievale.






+Il 26 di questo mese, Sinassi della Santissima Sovrana nostra, la Madre di Dio Achiropita di Rossano.

Rossano, una cittadina in provincia di Cosenza, è orgogliosa di avere un’immagine acheropita (non dipinta da mano umana) della Vergine, dove la devozione per la stessa esiste già dal VI secolo.
L’immagine, che rappresenta una vergine con il bambino, è di stile bizantino ed è datata tra il VI e l’VIII secolo, a seconda delle interpretazioni. Sul lato destro dell’immagine, verticalmente, si può leggere, in lettere greche, la parola ‘Theotokos’, madre di Dio. Si tratta di una vergine intera che regge nel braccio sinistro il bambino che ha la mano destra verso la madre con gesto di benedizione e nella sinistra sostiene un rotolo. La vergine indossa un mantello rosso oscuro che le copre anche il capo.
Gli ultimi studi effettuati sull’immagine rivelano che l’attuale affresco è sovrapposto ad uno più antico.
La tradizione ci riporta al monaco eremita Efraim che viveva in una grotta nei dintorni di Rossano, intorno al 570. Un uomo di sangue reale, il principe Maurizio di Costantinopoli, essendo vittima di una persecuzione politica, scappò per mare ed approdò in Calabria. Incontrò Efraim il quale lo rassicurò e gli disse che doveva ritornare in patria, dove non solo le cose si sarebbero aggiustate, ma che sarebbe anche diventato imperatore. Però gli fece promettere che se la predizione si fosse avverata, avrebbe fatto costruire sul luogo di quella grotta una chiesa dedicata alla madonna, con un’immagine della Vergine. Maurizio lo promise e come pegno gli donò un anello. Quando tornò in patria fu acclamato imperatore ma si dimenticò della promessa. Passato un certo tempo Efraim andò a Costantinopoli con il proposito di restituire l’anello. L’imperatore quando lo vide si ricordò della promessa e così fece allestire una nave con materiali da costruzione e maestranze varie per erigere la chiesa, dando ordine che in essa doveva essere dipinta un’immagine di Maria Vergine. Ma il dipinto fu molto difficile da fare. Infatti tutti gli artisti che ci provavano lavoravano invano, perché quello che dipingevano di giorno, tornando la mattina dopo lo trovavano cancellato. Poi un giorno, un artista che aveva quasi completato l’immagine lasciò durante la notte un discepolo a vigilarla. Questi vide uscire una donna bellissima con un manto splendente che lo persuase ad andarsene. Il mattino dopo videro questa stessa donna dipinta sul fondo della parte interna del tempio.
La prima edificazione del luogo di culto sarebbe datata alla fine del VI secolo anche se quello attuale, la cattedrale, è basicamente del secolo XI con rifacimenti posteriori. La costruzione del muro che accoglie l’immagine risalirebbe ad epoca normanna, secolo XII.


+ Il 26 di questo mese, memoria del nostro santo padre Efrem di Rossano (VI-VII sec).
Monaco, eremita e asceta di Rossano. Abitava in una grotta, dove poi sorgerà il Tempio dedicato alla Theotokos. Durante i lavori su un pilastro apparve “l’Achiropita” (la Tuttasanta: icona non dipinta da mano d’uomo). Τale era la venerazione di cui godeva questo santo eremita da essere sepolto nella stessa chiesa Catedrale della citta'.


San Cristoforo di Collesano Monaco

16 dicembre  Santo Macario di Collesano in Sicilia in provincia di Palermo  .monaco.


Nacque intorno al 920. Asceta italo-greco del sec X, le sue vicende sono legate a quelle del padre, Cristoforo, e del fratello Saba. 
Cristoforo, rifugiandosi nel monastero greco di San Filippo d'Agira  ai piedi dell'Etna, ricevette l'abito dall'egumeno Niceforo, che lo  autorizzò a condurre vita eremitica nella laura di San Michele di 
Ctisma. 
Qui fu raggiunto dalla moglie Cali e dai figli Macario e Saba, che presero tutti l'abito monastico. Una grave carestia abbattutasi sulla Sicilia nel 940-941, li costrinse a rifugiarsi in Calabria, sbarcati 
a Cessaniti, presso Nicotera, vagarono per monti e boschi, fino a che non raggiunsero la famosa eparchia monastica del Mercurion, ai confini nord-occidentali della Calabria con la Lucania. Qui fondarono 
i due monasteri di San Michele Arcangelo e di santo Stefano protomartire; poi andarono in pellegrinaggio a Roma per venerarvi le tombe degli Apostoli e, al ritorno, si fermarono nel cenobio di San 
Lorenzo, presso Latiniano, dove Cristoforo morì, seguito, poco dopo, da Cali, che era a capo di una comunità femminile. Quindi i due fratelli, Saba e Macario, presero la cura dei diversi monasteri del 
Mercurion, confrontando i monaci a perseverare nella loro vocazione e a non avvilirsi per le continue incursioni dei Saraceni. Alla morte di Saba, avvenuta a Roma, nel monastero di San Cesareo nel 995, 
Macario gli successe nella direzione dei Cenobi disseminati nelle eparchie del Mercurion e del Latiniano. Il biografo rende testimonianza alla prudenza con cui governò, alla sua profonda umiltà 
e, soprattutto, alla sua grande purezza, per cui "etsi in carne degeret, veluti totus spiritualis et absque corpore esse videbatur". 
A queste virtù univa l'esercizio del rigorismo 
corporale, che caratterizzava i monaci italo-greci del tempo. Compì molti miracoli, per cui la sua cella divenne meta di pellegrini di ogni genere. Morì il 6 dicembre 1005, è ricordato nei sinassari italo-
greci e nei menei liturgici. 
La sua vita fu scritta da Oreste, patriarca di Gerusalemme che però gli dedicò meno spazio rispetto ai più illustri mèmbri della famiglia 
Cristoforo e Saba,
Antichi codici riportano la sua morte nella metà del dicembre del 1005; la comunità di Oliveto Citra, elevatolo a Santo Patrono, conserva le sue reliquie in un busto argenteo collocato nella Chiesa 
Madre.

Collesano ( in greco:   en polei ths Kolassaewn)   è un paese che si trova sulle prime propaggini della catena montuosa delle Madonne in provincia di Palermo.
Qui nacque nel X secolo Macario. Figlio di San Cristoforo e Santa Calì e fratello di San Saba. Tutti monaci siculo-greci.
La loro vita fu scritta dal patriarca di Gerusalemme Oreste ( vedi Cozza-Luzzi, Historia et laudes SS. Sabae et Macarii iuniorum e Siclia autore Oreste Patriarcha Hierosolymitano ).
Il primo periodo della loro vita monastica  si svolse in Sicilia, nel Sacro Monastero di San Filippo d’Agira , allora retto dall’egumeno Niceforo. Cristoforo visse l’esichia nella chiesa dell’Arcangelo Michele, a Ctisma, metochio di san Filippo.
A causa di guerre intestine tra i musulmani, che  ebbero gravi conseguenze per la popolazione cristiana siciliana, la santa famiglia emigrò in Calabria ( Thema dell’Impero). Il loro primo rifugio fu la regione dei “ Caroniti , e successivamente la “ Tebaide” del Mercurion ( posta tra Calabria e Basilicata) luogo di intensissima vita monastica  italo-greca confinante con l’altra regione di intensa vita monastica, chiamata Latinianon.
La santa Famiglia si stabilì nella chiesa di san Michele, che diverrà sede della Laura  dei monaci che seguirono San Cristoforo.
A Causa delle incursioni dei saraceni, Cristoforo con i figli Macario e Saba   si trasferì nel Latiniano, sulle rive del fiume Sinni, nella Chiesa  di san Lorenzo. Qui morì, affidando l’igumenato al figlio Saba. Poco dopo fu seguito dalla moglie Calì.

Santo Saba.
Saba fu una delle figure più rappresentative del monachesimo siculo-greco nel mercurion. Fu ctitor di molti monasteri ed esicastirion. Ebbe importanti incarichi diplomatici-politici , tra cui una missione a Roma, su incarico del catepano Romano ( circa 982 d.c) e quella di implorare presso  l’imperatore germanico Ottone III  la liberazione del figlio  del principe di Salerno e del patrizio di Amalfi . Durante questul’ultima missione mori a Roma, nel monastero di San Cesario il 5 febbraio 995, lasciando il governo dei monasteri da lui fondati al fratello San Macario, che lil patriarca Oreste, autore della sua biografia, definisce uomo di profonda umiltà e di grande purezza, che non assomiglia ad un uomo di carne, ma ad uno spirito senza corpo.
Morì il 16 dicembre del 1005 a Salerno, nominando come igumeno Luca



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 sant'Eleuterio, che si festegia il 15 Dicembre,  In altri sinassari  il 18 aprile 

 Il 14 di questo mese, memoria del nostro santo padre Agnello di Napoli, il Taumaturgo.

Al principio del sec. X Pietro, suddiacono della Chiesa napoletana, che era stato liberato da una grave infermità per intercessione di Agnello, compose un libellus miraculorum, in cui, oltre alla sua, racconta altre ventidue guarigioni miracolose operate dal santo. Da questo testo, che è la più antica fonte che ci parli di Agnello, apprendiamo che Gaudioso Settiminio Celio, vescovo di Abitina in Africa, avendo dovuto insieme con altri presuli abbandonare la sua sede invasa dai Vandali, riparò a Napoli e vi fondò un monastero, probabilmente greco, che poi prese il suo nome. Di questo monastero, in un anno sconosciuto del sec. VI, divenne egumeno Agnello, che morì a sessantun'anni tra il 590 e il 604, forse nel 596, come molti affermano. Il santo nacque a Napoli da nobili genitori di origine siracusana intorno al 535.La sua familia secondo la tradizione era imparentata con quella di santa Lucia. Condusse gli anni della giovinezza in eremitaggio in una grotta presso una cappella dedicata alla Madonna e poi nell'antica chiesa di Santa Maria Intercede, poi divenuta Sant'Agnello Maggiore.
Scrittori recenti parlano dei suoi interventi miracolosi per liberare Napoli e Sorrento, strette d'assedio dai Saraceni, ma l'agiografo citato non ne fa cenno. Il suo nome non figura nel Calendario marmoreo di Napoli, inciso verso l'800. Il suo epitafio, rinvenuto nella chiesa parrocchiale a lui dedicata, dal punto di vista paleografico, secondo gli esperti, si accorda con l'età della sua morte.
Fin dal sec. XV Agnello fu annoverato fra i patroni di Napoli ed è anche patrono di Guarcino, città del Lazio in provincia di Frosinone; gode pure di particolare venerazione a Lucca, dove, già dal sec. XII, gli fu dedicato un altare. Questa città contese con Napoli per l'autenticità delle sue reliquie e ne celebra la festa il 18 maggio, in contrasto con l'uso più comune che la fissa al 14 dicembre.



13 dicembre Santa Lucia di Siracusa



13 Dicembre Santo Antioco martire a Sulci in Sardegna sotto Adriano (tra il 117 e il 138)



La sua figura è associata alle miniere sarde dalle quali i romani  estraevano minerali e metalli pregiati: i romani condannavano spesso sia i prigionieri di guerra che i cristiani a lavorare in queste miniere.
La tradizione su  Antioco vuole che egli sia stato condannato a lavorare in queste miniere nell'isola, allora inospitale, che veniva chiamata Plumbaria, in quanto fonte di rifornimento del piombo . Egli doveva essere un medico durante l'impero di Adriano e operava in Cappadocia e in Galazia convertendo molte persone al Cristianesimo  Incarcerato per questo e sottoposto a tortura, fu quindi esiliato in Sardegna. Qui egli convertì il suo custode, il soldato Ciriaco, e quando la notizia di quel cristiano irriducibile giunse alle orecchie delle autorità imperiali di Cagliari, venne decisa una punizione esemplare. L'esule Antioco fu così colpito a morte, ma prima di morire egli pronunziò una accorata preghiera al Signore, invocandone la protezione sulla Sardegna e sul suo fiero popolo.




Tratto da



Per parlare di Sant’Antioco senza scambiarla per l’omonima isola sarda che ha il nome grazie a lui, bisogna capire qualcosa dell’attivismo decennale di un sardo innamoratissimo del santo paleocristiano venuto dall’Africa: Roberto Lai.
Roberto Lai fa un mestiere particolarissimo: è un carabiniere che salva le opere d’arte. Alcuni dei più importanti recuperi di arte italiana sono stati fatti da lui in prima persona, come ad esempio il recupero della “Triade Capitolina”. Questa passione viene da quando Roberto, ora in congedo dall’Arma, da piccolo preferiva i musei al gioco del calcio con gli amichetti dell’infanzia.
Ma chi è esattamente Antioco? E’ il “Santo che viene dal mare”, arrivato dalla Mauritania Cesarea (zona del Nord Africa che comprende Algeria e Marocco) durante il periodo dell’impero romano sotto Adriano (117-138 d.C). Antioco era stato esiliato ed era giunto in Sardegna per professare la fede in Cristo. Qui aveva stabilito dimora nell’isola sulcitana, collegata alla Sardegna per mezzo di alcuni ponti in modo da essere raggiunta agevolmente dai fedeli. Antioco abbandonò da giovane i suoi promettenti studi di medicina, a causa delle vessazioni che i cristiani subivano dall’Impero romano, fuggì dalla Mauritania e riparò in Sardegna dopo che Adriano tentò invano, più volte di farlo abiurare con la tortura. Antioco in Grazia di Dio, resistette illeso alle torture e nemmeno le fiere lo vollero sbranare. Nell’isola mediterranea, conquistò a Cristo tutto il territorio, guarendo i malati e predicando il Vangelo.

La sua fama è iniziata sin dall’arrivo in Sardegna, quando si era sparsa la voce delle sue guarigioni e dei suoi miracoli e non dopo la scoperta delle sue reliquie avvenuta nel 1615. Ne abbiamo diretta testimonianza nel libro ” il processo dei miracoli” della seconda metà del 500.
Sul Santo, in questi anni (grazie all’associazione “Arciere Onlus” che ha fondato) è stata fatta una grande opera di divulgazione che è culminata nel 2011 con un volume collettivo curato da Lai e da Marco Massa e con un imprimatur di tutto rispetto. Il volume infatti oltre ad essere un insieme di ricerche di diversi studiosi di grande spessore è corredato e introdotto al lettore anche da un messaggio di Papa Benedetto XVI e da una introduzione a firma del Cardinal Camillo Ruini. Entrambi spendono parole di sostegno per uno studio sulle fonti della cristianità e dei santi dei primissimi secoli, persone così lontane eppure così centrali per la vita e la storia di intere città e per generazioni e generazioni di fedeli.
“Siamo riusciti a dimostrare – sostiene Lai – una verità leggendaria. E cioè che le spoglie di Antioco ritrovate nelle fondamenta della basilica paleocristiana costruita sulle catacombe fenicie e che porta il suo nome vi giacevano da quasi duemila anni. 

 https://www.comune.santantioco.ca.it/cms/653d-sagra-santioco/1731-s-antioco-patrono-della-sardegna-tra-oriente-e-occidente.html?showall=1



 Il 13 di questo mese, memoria del nostro santo padre Nicola, vescovo di Oppido, il Nuovo Taumaturgo.
San Nicola era attorno al 1050 vescovo della vicina Sant’Agata (Oppido) al tempo in cui i Franchi invasero le province occidentali dell’Impero Romano (l’Italia Meridionale). Proprio la Regione delle Saline fu crudelmente devastata: incalcolabile è il numero dei caduti in guerra o a causa della carestia o del colera e altre malattie. Si tentò di fare pane macinando ghiande, cortecce e radici, ma questo impasto ostruiva l’intestino e le madri preferivano vedere i bambini morire d’inedia anziché tra atroci spasmi. La sventurata popolazione trovò rifugio e sollievo solo nel vescovo Nicola di Oppido tanto che questi, dopo la morte, fu subito venerato al 13 dicembre come santo e "Nuovo Taumaturgo" per distinguerlo dall’altro e più celebre Nicola, padre e difensore dei deboli e dei poveri, festeggiato sette giorni prima.



Risultati immagini per icone dei santi martiri di Lentini


 

saints pour le 10  décembre du calendrier ecclésiastique


 Saint MERCURE et ses compagnons, soldats, martyrs à Lentini en Sicile (vers 300)


Tratto da
http://web.i2000net.it/sanfantino/santi/mercurio.htm
Lo storico Vincenzo Saletta (Storia Archeologica di Taurianum) (antica città brettia/lucana, che si trovava nella parte meridionale della Calabria. Le sue rovine sono state localizzate nel territorio di Palmi. Il nome della città deriva da quello del populus italico che la fondò, i tauriani Venne distrutta dai saraceni nella seconda metà del secolo X ) ci riferisce che nel martirologio romano, è riportato un centurione taurianese, San Mercurio, il quale era in missione in Sicilia al seguito dell’esercito romano; scopertasi la sua qualità di cristiano, subì il martirio assieme a tre compagni, pure taurianesi. A tal riguardo riveste particolare importanza la notizia che la Chiesa siciliana di Lentini, ricorda un santo martire Mercurio, centurione romano, il 10 dicembre. Altre notizie le troviamo negli acta santorum dei Padri bollandisti (che hanno curato la più grande raccolta di vite di Santi): essi riferiscono che San Mercurio Martire visse in Oriente, al tempo di Decio e di Valeriano, era figlio dello scita Gordiano, fu arruolato nell’esercito romano e assegnato alla legione dei Martisii. Il racconto della sua vita ci dice che nelle campagne contro i barbari a cui egli prese parte, si distinse per il valore militare, perché un angelo gli dava continuamente sostegno ed incoraggiamento. Per questo motivo, egli fece una rapida carriera e giunse fino al grado di generale. Scoppiata la persecuzione, egli fu accusato di essere cristiano e confermò l’accusa davanti all’imperatore. Allora fu condannato a morte, ed il racconto si sofferma a descrivere aspri tormenti ai quali sarebbe stato sottoposto il Santo. Fu legato a quattro pali e tagliato con coltelli per tutto il corpo, mentre sotto di lui divampava un fuoco, le cui fiamme venivano spente dal suo stesso sangue. Poi venne sospeso per la testa, con un macigno attaccato ai piedi. Quindi venne flagellato con fruste metalliche. Alla fine, portato a Cesarea di Cappadocia, venne decapitato. Quando subì il martirio aveva 25 anni. Era di corporatura imponente, splendido alla vista, biondo, con le guance rosate.




+Il 10 di questo mese, memoria del nostro santo padre Atanasio, Siciliano di nascita e poi vescovo a Methoni nel Peloponneso.



Nato a Catania, ancora giovane, emigrò con i genitori dall’isola minacciata dagli Arabi a Patrasso del Peloponneso. Il giovane Atanasio abbracciò la vita monastica, scegliendo per sé la durezza dell’esperienza eremitica e gli fu affidata, ad un certo momento, la cura di un gruppo di monaci. Dopo aver percorso i gradi della gerarchia ecclesiastica, divenne infine vescovo di Metone, nell’estremità meridionale della Messenia (quella che sarà poi la Modone dei Veneziani, posta sulle rotte commerciali per l’Oriente, nonché scalo dei pellegrini diretti in Palestina). Ottavio Gaetani, nelle postume Vitae Sanctorum Siculorum, pone la morte del Santo nell’anno 885



 Il 10 di questo mese, memoria del nostro santo padre Luca il Grammatico, Difensore della fede Ortodossa nell' Italia Meridionale.

Nacque a metà dell'XI secolo in provincia di Reggio Calabria, nel paese di Melicuccà, già famoso all'epoca per essere stato il luogo in cui Sant'Elia Speleota passò gli ultimi anni della sua vita. Incerta è la sua data di nascita, che si dovrebbe aggirare tra il 1035 e il 1040 al tempo in cui i Franchi invasero le province occidentali dell’Impero Romano (l’Italia Meridionale). Suo padre si chiamava Ursino, la madre Maria.
Sulla sua formazione ebbe grande influsso Nicola, vescovo della vicina Oppido. Già da giovane intraprese la via del monachesimo presso il Monastero delle Grotte, fondato a Melicuccà da Sant'Elia Speleota, dove studiò assiduamente i Testi Sacri.
Nell’agosto dell 1059 Roberto, detto il Furfante, e il Papa di Roma Nicola II firmarono un patto a Melfi: l’uno legittimava l’invasione e il nascente Stato Normanno, i Franchi si impegnavano a sottomettere la Chiesa Ortodossa ai romano-cattolici.
In quegli anni tremendi, Luca era monaco e sacerdote del Monastero delle Grotte, fondato presso Melicuccà da sant’Elia lo Speleota e, mentre infuriava la brutale cattolicizzazione dell’Italia Meridionale, fu consacrato vescovo per colmare in qualche modo il pauroso vuoto che si veniva creando nella gerarchia ortodossa. Per esempio, il vescovo Nicodemo fu fatto rientrare a Palermo ma poco dopo fu eliminato: il vescovo di Catania (o Taormina) fu costretto alle dimissioni: il vescovo Stefano di Acerenza era caduto in guerra: l’Arcivescovo Basilio di Reggio fu espulso e al suo posto si insediò un cattolico simoniaco: i metropoliti di Rossano e Santa Severina (forse senza valutare tutta la portata della loro apostasia) si unirono a Roma: in pochissimo tempo i Franchi insediarono quasi ovunque vescovi cattolici o crearono nuove diocesi insieme a grandi e potenti fondazioni monastiche benedettine alle quali vennero poi assoggettati i monasteri ortodossi.
Così Luca fu vescovo itinerante per curare pastoralmente tutti gli ortodossi tra Nicotera e (almeno) la provincia di Messina.
Per più di 45 anni Luca si logorò per celebrare sinodi, raggiungere i suoi fedeli con lettere e di persona, percorrendo tutta la Calabria e la Sicilia per ordinare sacerdoti, consacrare chiese, incoraggiare il popolo a restare fedele alla Chiesa Ortodossa: morì il 10 dicembre 1114 e, come testimoniano i manoscritti liturgici, fu sepolto a Solano (sopra Bagnara Calabra). Successivamente, alcune sue reliquie e, forse, una copia della Vita furono portate nel Monastero della Trasfigurazione del Salvatore che un tempo sorgeva sulla lingua di terra che da Messina si protende verso la costa calabra.
Chiamato "Luca il Grammatico" (dal grego Grammatikòs: letterato) per la sua erudizione, dotato di grande eloquenza, fu anche valente innografo (e di ciò si ha testimonianza nel Codice Messinese Greco, nel quale sono presenti dei Canoni (poesie) da lui composti in onore di San Giovanni Battista) ed amanuense (ne è prova una pergamena greca contenente il testamento dell'abate Gregorio, igumeno del monastero di San Filippo di Demenna, scritto da Luca nel 1105).




5  Dicembre - Santo Pelino vescovo di Brindisi



TRATTO DA http://www.santiebeati.it/dettaglio/90626

L'episcopato di Pelino va determinato  negli anni che immediatamente precedono la distruzione longobarda di Brindisi del 674. Tale nuovo riferimento cronologico, più attendibile rispetto a quello tradizionale che colloca l'episcopato peliniano nel IV secolo, rende piena comprensione della biografia del santo.
Pelino, monaco ortodosso della chiesa una ed indivisa  formatosi in Durazzo, si trasferisce in Brindisi, in uno coi siri Gorgonio e Sebastio e col suo discepolo Ciprio, in quanto non aderente al Tipo ossia all'editto dogmatico voluto dall'imperatore bizantino Costante II nel 648. Durante l'anno successivo il pontefice Martino scomunica gli autori della nuova eresia; il papa deve, per questo, subire l'arresto, la deportazione a Costantinopoli e l'esilio a Cherson in Crimea ove muore fra il 655 e il 656. Ferme opposizioni al Tipo si ebbero anche in oriente; Massimo il Confessore, maggiore fra i teologi graci del periodo, esiliato nella Lazia, è ucciso nel 662.
Pelino, coi suoi compagni, è anch'egli difensore dell'ortodossia e in Brindisi, i cui vescovi venivano confermati da Roma, pensa di trovare un asilo sicuro. Deve tuttavia accorgersi che non è così; il vescovo Aproculus o Proculus pare sulle posizioni concilianti che già erano state proprie del pontefice Onorio I. L'arrivo dei profughi albanesi, su posizioni molto radicali, non consente tuttavia una politica di mediazione. Pelino spinge su posizioni chiare in difesa dell'ortodossia. Proculus, con procedura inconsueta ma che non manca di esempi comparabili, associa allora il nuovo venuto nell'episcopato designandolo quale suo successore. A tal fine è richiesto l'avallo del vescovo di Roma ; i sinodi avevano infatti costantemente contrastato ogni tentativo dei vescovi di designarsi un successore.  La disposizione con cui Proculus aveva designato il proprio arcidiacono Pelino all'immediata successione aveva dunque bisogno dell'avallo diretto della sede patriarcale romana. Ottenuta la desiderata conferma, seguita la morte di Proculus, il non ancora quarantenne Pelino assume la dignità episcopale; si mostra, in questa veste, fermo e intransigente innanzi ai funzionari imperiali che, infine, lo allontanano dalla cattedra brindisina.
Deportato a Corfinio, viene qui condannato a morte e ucciso probabilmente nel 662, il 5 dicembre, in uno con Sebastio e Gorgonio, bibliotecari ossia archivisti della sede episcopale di Brindisi. Da qui il vasto culto che negli Abruzzi è riservato al santo: patrono della diocesi di Valva - Sulmona, dedicatario della basilica cattedrale di Corfinio e di un piccolo centro abitato nella diocesi dei Marsi.
La vita di san Pelino ha una prima redazione già nel VII secolo, allorché Ciprio, eletto da clero e popolo vescovo di Brindisi, seguita verosimilmente la morte di Costante II nel 668, poté erigere una chiesa in onore del predecessore in cui furono collocate le reliquie di Sebastio e Gorgonio. L'atto sanziona la canonizzazione di Pelino di cui, per l'occasione, sarà stata scritta la vita da proporre come paradigmatica alla popolazione.
Nella basilica Cattedrale di Brindisi gli fu dedicato nel 1771 l'altare che chiude la navata sinistra, ove è rappresentato in una tela dipinta da Oronzo Tiso (1726-1800). La sua memoria, il 5 dicembre, è stata per secoli ampiamente solennizzata considerandosi Pelino principale protettore della città insieme a Leucio.






L’altra venerabile tradizione ecclesiale che lo colloca al secolo IV narra che  Pelino nacque a Durazzo, sotto l’impero di Costantino il Grande .
Allevato in buoni costumi dai suoi genitori Elladio e Satira e nelle lettere, sotto la disciplina di San Basilio.
Per sfuggire alle persecuzioni dell’empio Apostata Giuliano contro i cristiani, stimolato dallo zelo e la salute delle anime, decise di navigare verso l’Italia, dirigendo il cammino verso Brindisi, unico rifugio per i cristiani, insieme a quattro compagni tra i quali il suo allievo di nome Cipro.
Fu benignamente accolto dal Vescovo di Brindisi che era già informato delle qualità del suo ospite.

La chiesa di Brindisi fu fondata nell’anno di Cristo 184 da San Leucio, che fu il primo Vescovo della città. Seguirono: Leone 172, Sabino 182, Eusebio 202. Vi è un vuoto dal 202 al 350, quando si conosce il Beato Aproluco, che reggeva detta chiesa, il quale riceve Pelino.
Aproluco di età cadente, era impotente al gran peso della chiesa di Brindisi, vide la santità, la prudenza la scienza di Pelino, pensò di deporla alle sue giovanili forze che, con applauso del clero e del popolo della città, accettò di essere il successore di Aproluco.
Per convalidare l’elezione si recarono a Roma ove ottennero dal Pontefice Liberio I, la conferma della nomina di Pelino a Vescovo di Brindisi.
Al rientro a Brindisi, presso Azio, moriva il Beato Aproluco a cui fu eretto un tempio, in suo onore.
Dopo alcuni mesi, mentre il Vescovo Pelino si recava a Brindisi, fu fermato dal Prefetto Simpronio dell’empio Giuliano che lo prese e gli impose di adorare degli idoli.
Per quanto concerne il martirio a cui fu sottoposto il Vescovo Pelino, tra i vari racconti, mi soffermo a quello dello storico brindisino Andrea della Monaca, che lo menziona nella sua Memoria Storica, del 1676, ed in sintesi riporto quanto appresso.

"Rifiutando il Santo di adorare gli idoli, gli furono per ordine del Prefetto spezzati tutti i denti e così ridotto fu poi portato al tempio di Giove per offrire incenso, ma appena il Santo Pelino pose il piede alla soglia del tempio, uno spaventoso terremoto gittò a terra il simulacro di Giove ed il tempio rovinò dalle fondamenta.
Inferocito il Prefetto Simpronio lo fece legare in una ruota cinta di 140 denti di ferro, ordinando di raggirarlo in essa sin tanto le carni e le ossa cadessero in terra a pezzi, ma fu la ruota che si spezzo ed uno dei denti ad essa saltando, colse il tiranno. Avendo visto che nel corpo non c’era neanche un livido, lasciò libero il santo che nei giorni successivi quattordicimila e seicento persone ricevettero il battesimo.
Con una simile vittoria, fece ritorno a Brindisi.
Ma Giuliano saputo che Pelino non aveva ubbidito ai suoi ordini, mandò contro di lui il Capitano Aureliano ed il Tributo Massimo, con cinquecento soldati che giunti a Brindisi legarono il Vescovo Pelino e partirono per Roma. Per strada, Pelino convertì Aureliano che fu battezzato insieme ai cinquecento soldati.
Venutone a conoscenza il Tributo Massimo, inviò i suoi soldati per uccidere Aureliano ed i soldati battezzati, ma prima di tutti per uccidere il Vescovo Pelino.
Alla Via Ardeatina, in un luogo chiamato Catacombe, Massimo ordinò che i seguaci di Pelino compreso Aureliano, fossero segati per mezzo, affinché conducesse a Roma la sua carneficina come segno di trionfo.
Consegnato Pelino al giudice Corniculario e condotti in Corsinio città dei Peligni a ciò fossero sacrificati a morte, ma anche qui il tempio rovinò come era avvenuto con quello di Giove. Infuriato il giudice dopo averlo fatto battere crudelmente le infissero ottantacinque ferite concludendosi la sua felice morte il 5 dicembre (364) e nel luogo ove fu martoriato venne eretto un tempio.
Rientrato a Brindisi il suo allievo Cipro, raccontò la fine del Santo Martire Pelino e avendo il Clero ed il popolo visto in lui le virtù e doti del Suo maestro, Cipro divenne il Vescovo di Brindisi successore di Pelino, edificando una mobilissima chiesa che oggi per la negligenza di chi doveva conservarla è distrutta".

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